Un genitore tende a parlare facilmente dei propri figli con gli amici, anche in presenza dei bambini, spesso sottolineando qualche difettuccio adorabile che avevano quando erano ancora più piccoli; ad esempio, il modo di parlare “cinese” mettendo la L al posto della R o il tenero rossore delle guance quando si sono trovati di fronte ad un estraneo. A volte, però, i bambini si mettono a piangere o comunque mostrano di non accettare questa benevola presa in giro.
Pensate allora che i bambini non abbiano il senso dell’umorismo.
Ma perché si verifica una tale scena? Che cosa si è detto di male?
Ancora una volta, questa situazione dimostra come non siano sempre le parole dette ad avere un peso, bensì il modo in cui queste vengono recepite, come risuonano nella testa di una persona sensibile.
Non si deve mai fare dello humour “alle spese” dei bambini.
Questo è un comportamento da evitare categoricamente. Più piccoli sono i bambini, più sono, diciamo, al primo livello, incapaci di capire l’antifrasi, cioè una parola che vuole significare, con ironia, il suo esatto contrario. Se davanti ad un temporale diciamo che “è proprio una bella giornata” i bambini si chiederanno il perché, visto che non c’è il sole. Per lo stesso motivo, vederci ridere di loro significa, ai loro occhi, essere presi in giro.
Se vogliamo trasmettere il senso dello humour, dobbiamo cominciare a ridere di noi stessi ed a prenderci in giro; solo successivamente, per imitazione, i bambini impareranno che si può scherzare sui difetti, sui fallimenti senza per questo rimetterci la faccia.
A 18 mesi un bambino può già cominciare ad avvicinarsi all’ironia attraverso vari giochi fatti con gli adulti. Attorno ai 2-3 anni si può passare a degli scherzi più complessi, ma sempre stando attenti a non offenderlo, mettendo in risalto il gioco con, ad esempio, il cambio della voce.
Il senso dell’umorismo è una dote da sviluppare nei bambini prestando una particolare attenzione al come siamo noi di fronte a loro, perché il primo insegnamento è l’imitazione. In un ambiente in cui si ride di se stessi, si scherza, si fanno giochi di parole o mimiche varie, il bambino capirà rapidamente storielle e barzellette, apprezzerà lo stile comico e riprodurrà a sua volta questo bisogno di ridere e far ridere. Questo richiede intelligenza, creatività e sensibilità.
Il bambino che non tollera le critiche altrui può essere troppo “perfettino”, quello che non sbaglia mai e non accetta errori, oppure quello troppo viziato, vissuto nella bambagia e che di colpo prende contatto con una realtà meno ovattata di quella familiare. Le possibilità sono molte ma, in tutti i casi, prendere la vita in modo ironico regala una libertà psicologica necessaria per uscire dal giogo delle costrizioni costanti ed è un’ottima difesa contro la malinconia che invade anche i più piccoli.
Ad ogni modo, bisogna sempre tenere presente che la scarsa autostima è alla base della permalosità del bambino e dell’adulto e per capirne le origini bisogna risalire alla prima infanzia, quando l’attenzione dei genitori non è stata sufficiente o adeguata alle esigenze del bambino che necessitava di sentirsi valorizzato (sempre senza eccedere).
Vista l’importanza dell’argomento, avremo l’occasione di parlarne più avanti.
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