Abbiamo iniziato la settimana scorsa una presentazione succinta di nuove terapie per la gestione delle emozioni e proseguiremo oggi con la seconda parte di questa breve carrellata.
Ognuno di noi vive con le proprie difficoltà, i propri conflitti. Ce ne sono per tutti! A volte, però, il livello di malessere è tale che occorre assolutamente parlarne con qualcuno. Questo primo sfogo può già dare un certo sollievo, ma spesso non è sufficiente e ci vuole allora l’aiuto di uno psicoterapeuta, figura più qualificata.
Vorrei, però, che questo blog aiutasse le persone a cercare di lavorare da sole su loro stesse, almeno nella fase iniziale di presa di coscienza. A volte basta qualche consiglio, qualche suggerimento, qualche indirizzo per capire in quale direzione muoversi. Personalmente ho sempre temuto (e quindi evitato) qualsiasi forma di dipendenza da parte del paziente. Mi piace questa immagine: quando arriva, questi si sente in gabbia, io sono fuori, ho la chiave e gliela porgo perché possa liberarsi da solo, non lo lascio macerarsi nel suo malessere pur di prolungare la terapia. Lo sopporto con attenzione ed empatia, con ascolto e dialogo appropriato,
Noi psicoterapeuti possiamo essere di rapido aiuto e dare al paziente almeno un primo sollievo. Uno dei primi consigli che suggerisco loro è il concentrarsi sulla respirazione, che deve essere lenta e profonda. In tal modo si possono sentire vivi, ossigenati, carichi.
La respirazione olotropica, con qualche somiglianza con il rebirthing, è una tecnica di auto-esplorazione senza base scientifica, ma tutti sanno quanto sia fondamentale la respirazione consapevole che ci riempie di ossigeno e quindi di energia. Questo metodo utilizza la potenza della respirazione e della musica per accedere ad uno stato di coscienza modificata. In questo stato, sembra che si possano vivere o rivivere alcune esperienze perinatali o transpersonali. Lo scopo sarebbe quello di far riemergere immagini inconsce che disturbano il nostro presente e di poterle eliminare.
In tal caso, questo approccio sarebbe utile per fobie, angosce, stanchezza cronica, spasmofilia, traumi fisici o psichici. E’ adatto a chi desidera scavare nel proprio inconscio per lavorare su traumi o sintomi psicosomatici nei quali le emozioni agiscono “alla grande”.
L’analisi transazionale è una teoria psicologica relativa al pensiero, ai sentimenti ed al comportamento della persona. Ogni transazione implica lo stimolo e la risposta. Questa tecnica permette di individuare, in situazioni concrete, quale “IO” interviene nella mia relazione: il bimbo, il genitore o l’adulto. Spesso, a nostra insaputa, utilizziamo questi ruoli in un modo inappropriato e lo scopo di tale terapia sarebbe di permetterci di individuare quale “IO” è stato messo in moto e se questo sia adeguato alla situazione. Il lavoro si svolge attorno alla parola, ai sentimenti ed alle emozioni ed è un metodo utile per chi ha difficoltà relazionali, per chi è timido o molto suscettibile. Può anche essere di aiuto per affermarsi sul lavoro o in famiglia.
Essa non richiede un lavoro sull’analisi della storia personale (anche se la scelta inconscia dei ruoli che recitiamo ne è conseguenza) e dà quindi risultati rapidi ed efficienti. Potete iniziare da soli a pensare ai vostri ruoli di fronte, ad esempio, ad una persona con la quale vi sentite in imbarazzo. Probabilmente siete voi a mettervi in situazione di inferiorità ed è interessante provare a capovolgere lo scenario.
L’approccio centrato sulla persona: guidare se stesso.
Questo metodo parte dal presupposto che l’uomo ha in sè tutte le risorse per evolvere e cambiare. L’approccio centrato sulla persona lascia al paziente la possibilità di guidare la propria evoluzione, mentre il terapeuta si “limita” ad intervenire con empatia, autenticità e assenza di giudizio per insegnargli a fidarsi di se stesso e di quello che prova.
Questa forma di approccio è di grande aiuto per le persone che hanno difficoltà nella loro vita affettiva, sessuale, coniugale, familiare o relazionale o quando devono far fronte a situazioni drastiche o drammatiche (malattia, divorzio, disoccupazione, pensione, lutto…). Queste persone troveranno, così, un luogo per parlare ed essere ascoltati, compresi, accettati per ciò che sono; ritroveranno la forza per andare avanti.
Penso che ognuno di noi potrebbe, conoscendo le tecniche esposte, cercare di farne tesoro per un uso personale, individuale, cercando di tenere le redini del proprio cervello. Poi, se la sofferenza è troppo importante, se le forze sono veramente ridotte, è giusto e necessario rivolgersi ad uno specialista psicoterapeuta.
Ci tengo a sottolineare questo aspetto, perché tutte queste metodologie dovrebbero essere fatte sotto la guida di uno specialista ma ancora una volta attenti ai non professionisti. I Tribunali italiani stanno emettendo varie sentenze che esigono che il famoso “counselor” sia almeno laureato in psicologia mentre dietro a questa figura molto in voga, così come a quella di coach, troviamo di tutto!
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