Oggi voglio trattare le dinamiche relative alla morte di un genitore. L’argomento è difficile da trattare, è triste e purtroppo so che toccherà molti di voi lettori, che magari avete vissuto questa esperienza o la state vivendo.
Vorrei introdurre il tema raccontandovi di un papà di 49 anni con quattro figli che avevano, al momento della morte della moglie, dai 7 ai 18 anni. La moglie aveva un tumore al cervello e se ne era andata due anni prima, quando aveva solo 41 anni. Quando scoprirono la malattia, avevano detto ai figli: “Mamma ha un nodulo. Si farà curare e farà il possibile per guarire. Sarà difficile ma ce la faremo“. Avevano avvertito i ragazzi che ci sarebbero stati da accettare dei cambiamenti, a cominciare dalla disponibilità della mamma nei confronti delle loro esigenze, per finire con le assenze forzate per le terapie. Avevano preannunciato che la mamma avrebbe avuto dei forti sbalzi di umore, che sarebbe stata ogni tanto allegra ed ogni tanto triste: Ma soprattutto li avevano rassicurati che tutto ciò sarebbe stato affrontato come una bella squadra che cerca di sconfiggere il nemico. Non avevano calcato la mano sul fatto che la malattia fosse molto grave, anche se i grandi lo sapevano. Parlavano di chemio, di medici più o meno bravi, cercavano di essere ottimisti.
Purtroppo, nell’arco di 9 mesi la situazione è peggiorata e la donna è stata ricoverata d’urgenza, per poi morire una decina di giorni dopo.
Vi racconto questo caso perché ritengo che questi genitori abbiano annunciato la malattia nel modo giusto, coinvolgendo i ragazzi e dando loro sempre una speranza. In effetti, non si sa mai quando arriverà la parola “fine” e come uso dire “c’è vita finché c’è progetto”. In qualsiasi caso bisogna guardare avanti e cercare di essere attivi e non passivi o remissivi. Si tratta di una vera e propria lotta contro la malattia e l’atteggiamento psicologico è fondamentale. Ci sono casi in cui non possiamo illuderci sull’esito della malattia, ma chi sa prevedere che cosa succederà domani alla persona più sana di questo mondo? Parlare della morte con i ragazzi è possibile, è necessario, ma deve essere fatto con le dovute maniere. Non siamo eterni e le cose cambiano, con o senza malattia. Anzi, quest’ultima ci permette di parlare, di coccolare, di esprimere il nostro affetto e il nostro attaccamento alla persona che rischia di andarsene.
Quando un genitore viene a mancare, è bene rievocare con la massima semplicità e spontaneità la sua presenza, senza atteggiamenti melodrammatici. “Ti ricordi come era golosa la mamma? Quanto le piacerebbe mangiare con noi questo dolce!” Evitiamo, però di tirare fuori l’assente come supporto educativo. Espressioni come “Questo non farebbe piacere alla mamma”, “Guarda che ti vede e non è contenta”, sono indice di debolezza, della ricerca di una scappatoia per scaricare la responsabilità della propria autorità, toccando sì la sensibilità dei figli ma instillando in loro inutili sensi di colpa. L’educazione va fatta a viso aperto, non con il paravento dell’aldilà che fa sentire totalmente impotente chi subisce!
Si ha il diritto di esprimere dolore. Anzi, è anche meglio se lo si fa, se si manifesta la propria sofferenza, la tristezza. Ascoltiamo i ragazzi, che vivono in modo diverso questa drammatica esperienza ed aiutiamoli ad esternare i loro sentimenti. Diamo spazio con un sorriso alla persona assente, rammentando i suoi gusti, le sue reazioni, il suo vivere. Perché è così che vive ancora, attraverso tutto l’amore scambiato in precedenza, che ci permette di ricordarla viva, come se si fosse solo allontanata dalla vista, con tanto affetto immutabile.
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